Da Amsterdam a New York, nell’ultimo periodo sono aumentate le limitazioni nel mercato degli affitti brevi. Anche in Italia, recentemente, è stata avanzata una proposta di legge per arginare questo fenomeno.
La proposta persegue lo scopo di fornire una disciplina “uniforme a livello nazionale, nonché di contrastare il fenomeno dell’abusivismo in questo settore”; restando però non regolamentati le ipotesi dell’“overtourism” e dello spopolamento dei centri storici.
Il nuovo testo prevede delle novità importanti dal lato delle sanzioni. Si incorre in una multa fino a 5.000 € per chi affitterà una casa per una sola notte; anche se l’applicazione di essa è circostanziata perché è applicabile per le sole zone che soddisfano i requisiti storico, artistico e di particolare pregio ambientale. Inoltre, è previsto anche un limite al numero di appartamenti 2 (due) dello stesso proprietario, in locazione breve (da 1 a 30 notti) che sul territorio nazionale possono essere tassati con cedolare secca.
Altra novità è la creazione di un codice identificativo nazionale, il CIN (che sostituisce quello regionale) il quale diversamente dalla precedente versione è direttamente identificabile direttamente sull’immobile. Nel caso in cui il CIN non venisse esposto per ogni annuncio è prevista una sanzione da 500 a 5mila euro, più l’immediata rimozione dell’annuncio stesso. Il non avere richiesto il CIN sarà sanzionato fino a 8mila euro.
Tale provvedimento ha suscitato da subito delle critiche. I primi che hanno criticato questo tipo di regolamentazione degli affitti brevi sono state le associazioni del mondo immobiliare e turistico. Quest’ultimi ne contestano l’ultima versione trasmettendo al ministero del Turismo le loro osservazioni in cui si sottolinea che il provvedimento in questione è “palesemente mirato, senza alcuna ragionevole motivazione, a contrastare la locazione delle abitazioni private. Ciò, attraverso l’introduzione di un numero ingiustificato di divieti, limitazioni, requisiti e obblighi, alcuni dei quali di impossibile applicazione”. Affermando, inoltre, “che si tratti di un testo fortemente lesivo del diritto di proprietà, profondamente illiberale e in molte sue parti contrario ai principi costituzionali”.
In Italia Firenze è sta la prima città ad imporre tale limitazione, prevedendo un arresto definitivo delle registrazioni di nuovi affitti turistici brevi (per quel che riguarda la sola area Unesco).
Il motivo è legato alla proliferazione degli affitti turistici brevi, (12.308 secondo Inside Airbnb) la maggior parte dei quali nel centro storico.
Prima conseguenza di ciò è la riduzione della disponibilità delle case in affitto per famiglie, lavoratori e studenti e l’effetto complessivo di alzare vertiginosamente i prezzi.
Di contro, gli host contestano che la vera causa del ricorso di massa alla locazione turistica breve è l’assenza di garanzie per i proprietari, costretti a pagare le tasse sull’immobile anche quando l’inquilino è moroso.
In conclusione, in un mercato immobiliare molto elitario come quello dei centri storici italiani, una limitazione nell’ambito degli affitti brevi potrebbe favorire l’abbassamento dei canoni di locazione; a fronte però di un notevole ridimensionamento del principio di iniziativa di attività economica tra privati. Il legislatore, dunque, dovrebbe lavorare su una riduzione del numero delle abitazioni piuttosto che sul numero delle notti messe a disposizione dei clienti, attraverso anche l’introduzione di requisiti di professionalità.
A cura dell’Avv. Giovanni Alessi e del Dott. Giuseppe Ghizzota