Le tutele invocabili dall’assicurato alla luce delle S.U. 22437/2018
I contratti di assicurazione per responsabilità civile (ad es. per responsabilità professionale) contenenti una clausola claims made (a richiesta fatta), sono caratterizzati dal fatto che la copertura assicurativa è condizionata dalla circostanza che il sinistro venga denunciato durante il periodo di vigenza della polizza o, in caso di presenza della c.d. sunset dose, entro un determinato periodo di tempo dalla scadenza del contratto. Ciò a prescindere dal momento in cui si sia verificato il fatto lesivo.
Questo modello di clausola claims made “pura”, si distingue, nella prassi, dal modello c.d. misto o “impuro”, che prevede l’operatività della copertura assicurativa solo nel caso in cui sia il fatto lesivo che la richiesta di risarcimento siano intervenuti nel periodo di efficacia del contratto, salvo in alcuni casi la retrodatazione della garanzia a copertura di condotte anteriori alla stipula (in genere due o tre anni).
Il modello delle clausole claims made comporta, in entrambi i casi indicati, una deroga allo schema contrattuale delineato dall’art. 1917 cod. civ., che prevede un modello denominato “loss occurrence” (ad insorgenza del danno), sulla base del quale la copertura assicurativa è operante nei confronti di tutti quei fatti avvenuti durante il periodo di polizza, a prescindere dal momento in cui venga avanzata la richiesta risarcitoria.
Il delineato schema derogatorio delle clausole claims made, di origine anglosassone ed ormai ampiamente diffuso anche nel nostro ordinamento a partire dalla fine degli anni ’80, è stato oggetto di vivaci dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, in particolare inerenti alla compatibilità con il disposto dell’art. 1917 cod.civ. ed alla loro presunta vessatorietà (art. 1341 cod. civ.) e meritevolezza di tutela (art. 1322 cod. civ.).
Un primo orientamento optava per la nullità delle clausole claims made, in quanto ritenute contrastanti con l’art. 1917 cod. civ., ritenuto da una parte della giurisprudenza inderogabile[1]. La norma da ultimo citata rappresenterebbe, ad avviso di tale orientamento, la funzione del contratto di assicurazione, ossia il trasferimento del rischio, fonte di responsabilità. Le clausole de quo comporterebbero, pertanto, il venir meno della causa del negozio giuridico. Altre pronunce di merito ravvisavano anche una violazione del disposto di cui all’art. 1895 cod. civ., in considerazione del fatto che tali clausole attribuirebbero effetti retroattivi al contratto di assicurazione, il quale, invece, dovrebbe avere ad oggetto un rischio futuro[2].
L’opposto orientamento optava, invece, per la derogabilità dell’art. 1917, co. 1, cod. cov., nel rispetto dell’art. 1932 cod. civ., il quale lascerebbe liberi i contraenti di predisporre una diversa regolamentazione, in virtù del principio di autonomia contrattuale e del principio di meritevolezza di cui all’art. 1322 cod. civ.[3]
In ordine alla vessatorietà delle clausole claims made, una parte della giurisprudenza, distinguendo tra clausole “pure” e “miste”, riteneva le prime valide ed efficaci, essendo vantaggiose per l’assicurato senza comportare alcuna limitazione di responsabilità a carico dell’assicuratore, mentre le seconde vessatorie, e quindi bisognose di apposita sottoscrizione[4]. L’opposto orientamento definiva non vessatorie le predette clausole, sia nella forma “pura” che in quella “mista”, in quanto l’effetto di tali clausole non sarebbe quello di porre limitazioni di responsabilità dell’assicuratore, ma quello di delimitare il rischio assicurato, definendo quindi l’oggetto del contratto[5].
A sopire un tale contrasto giurisprudenziale sono intervenute una prima volta nel 2016 le Sezioni Unite della Suprema Corte, stabilendo il seguente principio di diritto: “Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola “claims made” mista o impura), non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina del d.lgs. n. 206 del 2005 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali; la relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata.”[6].
La Corte, nel suo iter argomentativo, ha specificato che “il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza, si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento”. Pertanto, le clausole claims made, nella loro forma “impura”, sono valide ed efficaci, restando impregiudicato l’alea inerente alla possibilità o meno che il danneggiato avanzi la richiesta risarcitoria.
Gli ermellini, inoltre, hanno affermato la derogabilità dell’art. 1917, co. 1, cod. civ., rientrando le caratteristiche dell’obbligo di garanzia nella piena disponibilità delle parti.
In ordine alla vessatorietà, la Suprema Corte ha specificato che la clausola in oggetto è rivolta “a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto del contratto, piuttosto che la responsabilità”. Entro tali limiti, pertanto, le clausole in esame non sono vessatorie dovendo, tuttavia, procedersi ad “uno scrutinio di validità condotto sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga al regime legale contrattualmente stabilita”.
Sarà quindi il giudice di merito ad analizzare, caso per caso, la meritevolezza e quindi la validità delle clausole claims made. Restano fuori da tale valutazione le clausole c.d. “pure”, le quali sono ritenute valide ed efficaci a prescindere da un giudizio di meritevolezza, non prevedendo queste ultime alcun limite in ordine alla rilevanza dell’epoca in cui venne commesso il fatto lesivo[7].
La Corte, tuttavia, non ha indicato i criteri ed i parametri volti ad orientare le decisioni di merito. L’incertezza applicativa degli enunciati principi di diritto ha reso necessario, di recente, un nuovo intervento delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito in parte quanto già affermato nel 2016, fornendo tuttavia alcuni approfondimenti che hanno condotto ad un superamento del giudizio di meritevolezza.
La Corte, nella sua ultima sentenza[8], ha richiamato gli obblighi informativi precontrattuali previsti dal Codice delle assicurazioni (articoli 120, 166, 183-187) e quanto espresso nell’articolo 183 del medesimo, il quale obbliga le assicurazioni a fornire ai clienti contratti adeguati.
In riferimento al singolo rapporto contrattuale e all’assetto di interessi complessivo stabilito dalle parti, residuando ampi margini per l’operatività di rimedi come la nullità totale o parziale per difetto di causa concreta, l’annullabilità per vizi del consenso o il risarcimento del danno precontrattuale in caso di informativa inadeguata.
Si tratterà di valutare se il contratto, nel suo complesso, fornisca una copertura assicurativa adeguata, anche in relazione all’importo del premio ed alle altre clausole inserite nel contratto.
Non è infrequente infatti che l’inserimento della clausola claims made venga temperato dall’inserimento di altre clausole, come quella di retroattività o di ultrattività (sunset dose), che contribuiscono a rendere il contratto nel suo complesso idoneo alla tutela del rischio a cui è esposto l’assicurato. La deeming clause, ad esempio, consente all’assicurato di comunicare all’assicuratore, ai fini dell’operatività della polizza, circostanze conosciute in corso di contratto dalle quali potrebbe originarsi la richiesta risarcitoria.
La Suprema Corte ha affermato, in sostanza, che il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis” è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita all’articolo 1917 cod.civ., comma 1, non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’articolo 1322, co 2, cod. civ., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro).
In conclusione, quindi, non si tratta più di indagare sull’equilibrio economico tra le prestazioni, rimesso all’autonomia delle parti, ma occorre verificare, sulla base del principio di buona fede contrattuale, se l’assetto di interessi definito dalle parti nel contratto, contenente una clausola claims made, comporti uno squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio.
Dott. Giuliano Gilardi
[1] Trib. Bologna, 02/10/2002, in Dir. ed econ. assic., 2005, 711; Trib. Casale Monferrato, 25/02/1997, in Giur. mer., 1997, 700; Trib. Genova, 08/04/2008, in Danno resp., 2009, 103.
[2] Cass. Civ., Sez. III, 13/03/2014, n. 5791; Trib. Roma, 10/08/2006, in Dir. ed econ. assic., 2007, 171.
[3] Cass. Civ., Sez. III, 15/03/2005, n. 5624; Trib. Crotone, 08/11/2004, in Assicurazioni, 2004, II, 2, 260; Trib. Milano, 18/03/2010, n. 3527.
[4] Trib Milano, 18/03/2010, cit.; Trib. Genova, 23/01/12, in Assicurazioni, 2012, 177; Trib. Roma, 10/04/2013; Trib. Bologna, 05/05/2014, n. 1375; Trib. Palermo, 26/11/2014, n. 5828.
[5] Corte App. Roma, 22/03/2011; Trib. Catania, 12/10/2009.
[6] Cass. Civ., S.U., 06/05/2016, n. 9140.
[7] Si veda anche Cass. Civ., Sez. III, 23/11/2017, n. 27867. La Suprema Corte si è ulteriormente pronunciata sulle clausole “pure” ritenendo che siano meritevoli di tutela, in quanto comportano per l’assicurato sia vantaggi che svantaggi. La claims made pura avvantaggia l’assicurato perché copre eventi di danno posti in essere anteriormente alla conclusione del contratto e tutela l’assicuratore escludendo la copertura per le richieste risarcitorie postume.
[8] Cass. Civ. S.U., 24/09/2018, n. 22437.