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RUSSIAN ROULETTE CLAUSE: NEL “MIRINO” DELLA CASSAZIONE

Nel panorama societario italiano, non è infrequente il verificarsi di situazioni di stallo decisionale (c.d. deadlock) derivanti o da compagini sociali ripartite al 50% o dall’attribuzione dei diritti di voto non proporzionali alle partecipazioni detenute.

La contrapposizione di due blocchi decisionali di pari forza risulta pregiudizievole per la prosecuzione della società, spesso risolvendosi nel suo stesso scioglimento.

In realtà, esistono dei metodi che possono consentire di salvaguardare il progetto di business, attuando meccanismi volti a risolvere l’impasse.

Una di queste soluzioni è la russian roulette clause, ossia uno dei c.d. divorce mecanism.

Questa, se inserita nello statuto o nei patti parasociali, si attiva al verificarsi del trigger event, dato dall’impossibilità di adottare una delibera a causa di opposte posizioni paritarie.

In tale contesto, a uno o entrambi i soci paritetici è attribuito il diritto di presentare un’offerta di acquisto della partecipazione dell’altro (comprensiva del prezzo).

Il destinatario avrà due opzioni: cedere le proprie partecipazioni al prezzo indicato dalla controparte, oppure acquistare quelle dell’offerente al medesimo prezzo.

In una delle varianti è anche possibile effettuare rilanci (c.d. Texas shoot out clause).

Questa clausola di importazione nordamericana ha sollevato in passato dubbi circa la sua legittimità.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22375 del 25 luglio 2023, ha sancito definitivamente la validità della russian roulette clause anche se inserita nei patti parasociali ed ha tratteggiato più genericamente i suoi profili, per delimitare il perimetro del suo lecito utilizzo.

Nello specifico, la Suprema Corte ha escluso categoricamente la configurazione di abusività genetica della clausola qualora contenuta nei patti parasociali, in quanto espressione dell’autonomia negoziale dei sottoscriventi, volta a determinare profili organizzativi interni della società.  Perciò, è pienamente legittima la clausola, anche qualora non contenga un floor minimo di prezzo.

Al contrario, un’eventuale abusività potrebbe essere astrattamente predicabile qualora inserita nello statuto, poiché imposta non come autonoma pattuizione, bensì come conseguenza del mero ingresso nella società. In tal caso, è allora necessario prevedere che il prezzo delle partecipazioni stabilito dal socio che la attiva non possa essere inferiore alla loro “equa valorizzazione”, al pari dei casi di recesso.

Gli Ermellini non ravvisano nella clausola de qua neppure una condizione meramente potestativa (che comporterebbe la nullità ex art. 1355 c.c.) in quanto la sua struttura intrinseca contiene un automatico riequilibrio tra le parti: una stabilisce il prezzo, l’altra determina se avrà luogo l’acquisto o la vendita.

La clausola in esame, poi, non è in violazione del divieto di patto leonino perché si attiva solo in ipotesi del verificarsi dell’eventuale paralisi decisionale e, in ogni caso, non è predeterminata la parte su cui si ritorcerà l’exit.

In tema di determinazione/determinabilità dell’oggetto contrattuale (art. 1349 c.c.), la clausola ontologicamente impedisce che il socio che la attiva stabilisca un prezzo non coerente con il valore di mercato, poiché potrebbe trovarsi a subirne gli effetti in base all’opzione azionata dall’altro.

Infine, la Cassazione ipotizza che, di fronte ad un utilizzo abusivo della clausola in oggetto (ad esempio nel caso in cui venga utilizzata senza conclamata presenza di un reale stallo), il socio non è privo di tutela.

Si potrebbero, difatti, attivare strumenti cautelari per paralizzarne gli effetti e/o chiedere il risarcimento del danno in caso di estromissione dalla società.

All’esito della sopra esposta disamina, emerge che la russian roulette clause è valida anche nel nostro ordinamento.

È, però, opportuno affidarsi al supporto di un professionista che possa indirizzare verso il suo lecito uso e per sfruttarne tutte le opportunità.

Difatti, tale clausola si presta ad essere inserita anche in contesti diversi dallo statuto sociale e dai patti parasociali. Può risultare utile, anche in ambito internazionale, prevederla negli equity joint venture agreement, incorporando nel testo contrattuale le regole che si sono dati i venturer per la gestione della società creata.

In conclusione, la russian roulette clause rappresenta una possibile soluzione per arginare i rischi intrinseci nelle compagini sociali con diritti paritetici: da un lato, funge da deterrente per il deadlock, dall’altro consente la ricollocazione delle partecipazioni in caso di rottura della base sociale e della comunanza di vedute, con ripresa dello slancio operativo.

 

A cura dell’Avv. Giovanni Alessi e dell’Avv. Eulessia Marina Ricci

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