Il D.lgs. n. 50/2016 più comunemente conosciuto come “Codice Appalti” finisce nel mirino della Commissione UE che ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata conformità del quadro giuridico italiano alle direttive del 2014 in materia di contratti pubblici.
Come si ricorderà infatti il Codice Appalti italiano recepisce le tre direttive europee in materia di contratti pubblici e più precisamente la n. 23, 24 e 25 del 2014.
Gli Stati membri – ricorda la Commissione – sono infatti tenuti a recepire le Direttive 2014/24/UE, 2014/25/UE e 2014/23/UE entro il 18 aprile 2016 e l’Italia lo ha fatto con il Codice Appalti (Dlgs 50/2016) che non ha superato (sembrerebbe) il controllo di conformità effettuato dalla Commissione.
La Commissione Europea ha quindi inviato all’Italia una c.d. “lettera di costituzione in mora” perché la normativa nazionale in materia di appalti pubblici e concessioni non sarebbe (il condizionale è d’obbligo stante il fatto che la procedura non si è ancora conclusa) conforme alle norme dell’UE.
Se ripercorriamo la traccia giuridica lasciata dalla Comunità Europea in materia di appalti pubblici dobbiamo ricordare che con il recepimento delle direttive europee si era giunti a un articolato percorso di nuove regole che avrebbero dovuto/potuto innovare e in qualche modo riformare le procedure per le gare pubbliche.
Le Direttive 2014/24/CE e 2014/25/CE abrogavano rispettivamente le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE – che erano state al tempo recepite nell’ordinamento italiano con il D.lgs. 163/06 (vecchio Codice Appalti) – , mentre per quanto riguarda la direttiva 2014/23/CE in materia di contratti pubblici di concessione la stessa innovava una vuoto normativo fino ad oggi colmato unicamente dai principi contenuti nei Trattati con l’ovvio deficit di regolamentazione.
E’ abbastanza evidente, che fin dall’origine del recepimento delle richiamate direttive la finalità del legislatore era stata quella di offrire una maggiore discrezionalità alle amministrazioni aggiudicatrici con conseguente responsabilizzazione dei suoi uffici e funzionari.
Ben sappiamo l’importanza del recepimento che aveva appunto l’obiettivo di superare la rigida regolamentazione della precedente disciplina che, se da una parte aveva la finalità di ridurre le possibili proliferazioni di criminalità dall’altra ha però aumentato esponenzialmente il contenzioso dal momento che la rigida struttura normativa del D.lgs. 163/06 non permetteva alcuna violazione.
Si è quindi sentita la necessità di rendere più elastico il testo normativo accrescendo proporzionalmente la discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici, proprio al fine di ridurre il più possibile il contenzioso.
Purtroppo come abbiamo visto l’intento del legislatore nazionale non pare essere stato raggiunto nemmeno con l’attuale strumento normativo, il quale si è dimostrato non in grado di ovviare alle precedenti lacune e ha tradito di fatto le aspettative comunitarie; con l’ovvia conseguenza che a breve il governo italiano sarà costretto a intervenire con un “pesante” intervento normativo sul testo attuale del Codice Appalti.
La lettera di messa in mora trova quindi la sua origine nella violazione degli indirizzi e principi contenuti all’interno delle direttive UE sopra richiamate, e tale denuncia porta la firma della Commissaria al Mercato Interno Elzbieta Bienkowska.
Va detto che l’Italia avrà a disposizione due mesi di tempo per rispondere alle argomentazioni della Commissione; in caso contrario, la Commissione potrà decidere di dar seguito alle lettere inviando un parere motivato.
I prossimi passi della procedura attivata dalla Commissione Europea saranno quindi i seguenti:
- a) qualora non pervenga risposta o se le informazioni trasmesse non siano considerate soddisfacenti da parte dell’Italia, la Commissione adotterà un parere motivato ex art. 258 paragrafo 1 TFUE, con cui constata la sussistenza della violazione del diritto dell’UE e inviterà l’Italia a prendere tutte le misure necessarie per porre fine a tale situazione, nel termine massimo di due mesi.
- b) la procedura potrà concludersi con una fase contenziosa vera e propria, potendo la Commissione adire la Corte di Giustizia dell’Unione europea ex art. 258 paragrafo 2 TFUE se l’Italia non si conformerà al parere nel termine fissato.
Va detto però che la maggior parte dei casi – e non pare questo caso diverso da tanti altri – viene però risolta prima di essere sottoposta alla Corte.
Vediamo ora sinteticamente i rilievi principali che Bruxelles ha mosso nei confronti dell’Italia:
1) Per prima cosa viene contestato all’Italia di aver violato il divieto di “gold plating” e cioè il divieto di imporre una normativa nazionale più severa di quella comunitaria.
Tale divieto era peraltro uno dei punti cardine delle Direttive Comunitarie recepite dal legislatore italiano.
2) I rilievi comunitari trovano poi una un ulteriore argomentazione nel limite del 30% del subappalto in materia di appalti pubblici così come disciplinato all’art. 105 comma 2 del D.lgs.50/2016.
Va pur detto che l’Italia ha sempre giustificato tale misura come strumento utile a combattere e limitare i fenomeni di infiltrazione mafiosa e di appalti aggiudicati a mere “scatole vuote” che non avevano alcuna struttura realmente esistente, ma pare che la Commissione abbia postposto tali esigenze a quelle più importanti dei principi di libertà economica.
Invero tali limiti al subappalto sono stati introdotti per la prima volta nel nostro ordinamento dall’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55 e le relative discipline sono poi confluite nelle varie leggi che si sono succedute in materia di appalti pubblici, e dunque mantenuti sia nel Codice di Lise (D.lgs. 163/06) che nel nuovo Codice dei contratti pubblici.
Queste normative esprimono il principio generale dell’affidamento a terzi (il subappaltatore) dell’esecuzione delle prestazioni con lavorazioni oggetto del contratto dell’appalto principale e tale limite del 30% risponde anche alla necessità di evitare la possibilità di avere aggiudicazioni dove l’adempimento è posto a rischio per la conseguente difficoltà di valutare la sostenibilità – e quindi la non anomalia – dell’offerta.
La lettera di messa in mora denuncia però proprio tale limite che rappresenterebbe in realtà una evidente contrazione alla possibilità di subappaltare, una restrizione che invece non si rinviene nella disciplina europea di riferimento e di cui il Codice dei contratti pubblici dovrebbe costituire il fedele recepimento.
Non per nulla diverse perplessità erano state già avanzate con riguardo alla limitazione contenuta nel precedente D.lgs. 163/06, anche se è pur vero che ogni stato deve fare i conti con le proprie esigenze “interne” che obbligano a tenere conto di tante variabili economiche e politiche.
In conseguenza di ciò, anche la disciplina contenuta nel nuovo Codice ha generato dubbi sulla sua tenuta comunitaria, soprattutto alla luce delle nuove direttive e dei principi ed obiettivi comunitari di proporzionalità, di apertura alla concorrenza e di favor per l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
3) Altro punto di criticità riscontrato dall’Europa è rappresentato dai tempi di pagamento da parte delle amministrazioni aggiudicatrici che non rispetterebbero i termini previsti dalla stessa UE (30 giorni).
Non per niente tale problema è stato più volte denunciato anche da molte imprese nazionali che operano con le amministrazioni pubbliche e che si sono trovate in difficoltà proprio a causa dei notevoli ritardi nei pagamenti.
4) Segnaliamo infine che la lettera di messa in mora affronta tra le altre anche i seguenti argomenti: (i) il calcolo del valore stimato degli appalti; (ii) i motivi di esclusione; (iii) le norme riguardanti le offerte anormalmente basse.
In particolare, in merito all’ultimo dei punti sopraelencati, la normativa italiana riconosce la possibilità per la stazione appaltante di prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte anormalmente basse qualora ricorrano contestualmente le seguenti tre condizioni: (i) il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso; (ii) il valore del contratto è inferiore alla soglia UE; (iii) il numero delle offerte ammesse è pari o superiore a dieci.
Se si confronta l’art. 69 paragrafo 1 e 3 della direttiva 2014/24/UE e l’art. 97 comma 8 del decreto legislativo 50/2016 emerge l’evidente difformità con la normativa e la giurisprudenza europea, come evidenziato dalla Commissione nella lettera stessa.
Ma anche con riferimento ai motivi di esclusione di cui all’art. 80, comma 4 del D.lgs. 50/2016 viene contestato nella lettera la sua non conformità alle disposizioni comunitarie dal momento che impedirebbero a una stazione appaltante di escludere un operatore economico che ha violato gli obblighi relative al pagamento di imposte o contribute previdenziali anche qualora tale violazione possa essere adeguatamente motivata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore.
Stante in questi termini le contestazioni rilevate dalla Commissione, e in attesa che termini la procedura suddetta, il Legislatore italiano è comunque pronto ad intervenire sull’attuale Codice Appalti che, come detto, ha manifestato evidenti limiti e criticità.
Nelle more del suddetto intervento normativo, il DDl di Bilancio del 2019 del governo ha sostanzialmente mantenuto intatto l’attuale contenuto del D.lgs. 50/2016 eccezion fatta per i limiti di soglia relative agli affidamenti diretti nei lavori elevati ora ad euro 150.000,00, e alla previsione della procedura negoziata (con invito a 10 imprese) fino a euro 350.000,00
Nulla cambierà invece per gli appalti di servizi e le forniture fino all’adozione del nuovo Codice.