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PASSAGGIO GENERAZIONALE: IL CASE STUDY DELLA SUCCESSIONE ARMANI

In Italia, parlare di impresa significa, quasi sempre, parlare di famiglia. Le stime più recenti indicano che circa l’81% delle aziende italiane è a conduzione familiare e che circa un terzo del PIL nazionale dipende da questa modalità di impresa (censimento permanente delle imprese ISTAT 2023). Eppure, dietro questo modello si nasconde una fragilità strutturale: solo il 20% supera il passaggio alla seconda generazione, percentuale che cala al 13% guardando alla terza e solo il 4% delle imprese italiane sopravvive oltre la quarta generazione. Il momento della successione, il “passaggio del testimone” tra chi ha creato l’azienda e chi dovrà guidarla in futuro, risulta essere uno dei principali fattori di crisi e, talvolta, di estinzione dell’attività.

La morte di Giorgio Armani ha riportato questo tema al centro del dibattito pubblico con una forza particolare. Non solo perché parliamo di uno degli stilisti italiani più celebri al mondo, ma perché il suo gruppo rappresenta un caso esemplare di impresa familiare cresciuta fino a diventare un attore globale, rimanendo sempre saldamente nelle mani del fondatore. A differenza di molti imprenditori, Armani non ha lasciato il momento della successione all’improvvisazione o al compromesso dell’ultima ora: già a partire dal 2016 ha posto in essere una serie di interventi sull’assetto societario e sulla governance, in modo da creare un complesso sistema di pesi e contrappesi pensato per sopravvivere alla sua persona.

Sul piano tecnico, il fulcro della strategia è rappresentato dall’introduzione di diverse categorie di azioni, caratterizzate da diritti patrimoniali e amministrativi non omogenei. Le azioni sono ripartite tra eredi familiari, Fondazione Giorgio Armani e soggetti fiduciari, ma il diritto di voto è concentrato su un numero limitato di “soci forti”, ai quali viene attribuito un ruolo centrale nella gestione. In questo modo, la titolarità del capitale viene distribuita tra più soggetti, mentre il potere decisionale resta in capo a un nucleo ristretto. Viene, dunque, garantita la soddisfazione delle aspettative economiche dei legittimari attraverso la partecipazione al capitale, ma al contempo viene limitata la possibilità di incidere sulla governance ai soli soggetti ritenuti idonei per competenze e affinità ai valori aziendali.

All’interno di questo disegno, un ruolo strutturale è attribuito alla Fondazione Giorgio Armani. Quest’ultima è divenuta azionista stabile della società, dotata di partecipazioni e diritti di voto rafforzati. La Fondazione è destinata a mantenere nel tempo una quota minima del capitale e, grazie alla particolare configurazione dei diritti amministrativi attribuiti alle sue azioni, a esercitare un potere determinante sulle scelte di lungo periodo. Questo soggetto opera, quindi, come strumento di “blindatura” del controllo e di tutela della continuità dei valori imprenditoriali, attenuando i rischi di dispersione del potere decisionale o di acquisizioni ostili.

Parallelamente, viene individuata una figura fiduciaria interna, nella persona di Pantaleo Dell’Orco, storico collaboratore (e compagno) del fondatore. Anche in questo caso, l’intervento è prima di tutto societario: a Dell’Orco vengono attribuiti diritti di voto significativi, che lo collocano tra i soggetti determinanti negli equilibri assembleari e nella composizione degli organi. Possiamo dire che si tratti di un “erede funzionale” sul piano della governance: non necessariamente il principale beneficiario del patrimonio, ma colui che è chiamato a garantire continuità gestionale, portando avanti i valori e le idee di Armani, in coordinamento con gli altri soggetti coinvolti.

Questa impostazione si riflette anche sull’assetto degli organi. Il nuovo statuto disciplina il consiglio di amministrazione in modo da assicurare che la maggioranza dei consiglieri sia espressa dalle categorie di azioni riconducibili alla Fondazione e ai soci forti, prevedendo al contempo maggioranze qualificate per deliberazioni di particolare rilievo. Ne deriva un sistema in cui le decisioni strategiche non possono essere assunte senza il consenso dell’asse Fondazione–Dell’Orco, riducendo così il rischio che singoli eredi, pur titolari di quote rilevanti, possano determinare cambi di rotta non coerenti con l’impianto originario.

Un ulteriore profilo strategico riguarda la previsione, contenuta nelle disposizioni successorie e recepita nella logica statutaria, della possibilità di cedere una quota significativa del capitale a un grande gruppo internazionale o, in alternativa, di procedere a una IPO (Offerta Pubblica Iniziale, ossia lo strumento con cui una società può quotarsi in borsa). Anche questo aspetto va letto in chiave strategica: l’apertura a soggetti terzi non comporta automaticamente la perdita del controllo, poiché l’ingresso di nuovi azionisti è incanalato dentro un sistema di diritti di voto differenziati e di maggioranze rafforzate. La funzione economica è evidente: garantire risorse e possibilità di crescita in un mercato altamente competitivo. Al contempo, il meccanismo giuridico è costruito per preservare il potere decisionale nelle mani di persone fidate.

L’assetto successorio di cui si è parlato fino a questo punto presenta indubbi elementi di forza sul piano societario, ma anche profili critici che meritano attenzione. In primo luogo, il disegno appare connotato da una notevole rigidità: la previsione di finestre temporali e di controparti “preferite” per l’eventuale cessione di quote significative può ridurre la flessibilità negoziale, comprimendo la capacità di adattare tempi, modalità e scelta dei partner alle condizioni di mercato.

Un secondo profilo problematico riguarda la complessità dell’assetto di governance. La struttura multi-classe, con diritti di voto non proporzionali al capitale, rende l’architettura proprietaria meno trasparente e potenzialmente meno appetibile per investitori istituzionali o per una futura quotazione, in un contesto in cui il principio “un’azione, un voto” è spesso considerato standard di buona governance. Al contempo, la forte concentrazione del controllo nella combinazione Fondazione–Dell’Orco accentua il c.d. “key-man risk”: l’equilibrio dell’intero sistema dipende da un numero limitato di soggetti, con il rischio che cambiamenti nella loro composizione, nelle relazioni interne o nelle scelte strategiche producano effetti destabilizzanti, senza che altri soggetti – privi di poteri di voto – dispongano di reali contromisure.

Vi è infine un tema di coerenza e di effettiva vincolatività. L’inserimento nello statuto di clausole statutarie che codificano i “valori” aziendali costituisce un tentativo interessante di dare rilievo giuridico a elementi identitari, ma al contempo la loro incidenza concreta dipenderà dalla prassi applicativa: in assenza di meccanismi di enforcement specifici, esse rischiano di assumere una funzione prevalentemente programmatica, soprattutto in presenza di esigenze di adattamento alle pressioni del mercato o a mutamenti del contesto competitivo.

Dall’analisi fin qui svolta possiamo desumere che l’operato di Giorgio Armani offre un esempio di passaggio generazionale affrontato attraverso un’operazione strutturata e pianificata, e non come mero trasferimento mortis causa di partecipazioni. L’attenzione è posta non solo su “chi eredita cosa”, ma a quali soggetti sarà affidato in concreto il controllo degli asset societari e con quali strumenti normativi questo controllo debba essere reso stabile e resistente a eventuali tensioni future.

Il modello analizzato offre indicazioni utili anche per realtà imprenditoriali meno strutturate, mostrando l’importanza di affrontare per tempo il passaggio generazionale, quando il fondatore può ancora orientare le scelte e verificare l’efficacia degli strumenti adottati. È inoltre essenziale distinguere tra tutela dei legittimari e definizione di un centro decisionale capace di mantenere continuità e coerenza nella guida aziendale. In questa prospettiva, strumenti come categorie azionarie differenziate, patti parasociali, fondazioni di famiglia o trust possono essere combinati per soddisfare le aspettative patrimoniali e concentrare il potere gestionale su figure con adeguata competenza.

La vicenda Armani mostra come l’ordinamento societario e successorio possa essere utilizzato per organizzare consapevolmente il “dopo”, evitando di delegare al solo quadro codicistico la regolazione del futuro dell’impresa. Ne deriva un messaggio chiaro per gli imprenditori: pianificare con scelte esplicite e assistite, definendo un assetto che coniughi stabilità e adattabilità rispetto a futuri cambi generazionali, evoluzioni di mercato e possibili interventi regolatori. Formalizzare principi di gestione e limiti operativi contribuisce infine a delineare un perimetro entro cui la governance potrà muoversi con coerenza nel tempo.

A cura di Giovanni Alessi e Andrea Antonio Sessa.

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