Art for rent, Art for lease, sharing Art, Art rental: molteplici denominazioni per indicare lo stesso fenomeno, quello dell’applicazione all’arte della sharing economy (o economia della condivisione), la quale altro non è che un’ulteriore, nonché attuale, manifestazione del divenire adattivo della società.
In altri termini, si tratta di una risposta immediata e concreta alle criticità emerse con la crisi economica globale, che permette di fare fronte ai problemi quotidiani con risultati visibili ancor prima delle soluzioni di politica economica, che possono rivelarsi decisive soltanto nel medio-lungo termine.
Maggiori bisogni e sempre meno disponibilità economiche vengono così conciliati da una forma alternativa di commercio, rispondente ad un nuovo modello di organizzazione civile che segue la logica del guadagno attraverso il riuso, l’accesso, la condivisione di quei beni “acquisiti” per un godimento “privato”, ma che si rivelano essere risorse produttive di guadagno, in grado di trasformare chiunque nell’imprenditore “delle proprie cose”.
È presto detto che un simile concetto di condivisione produttiva possa essere tagliato anche per l’arte, ossia il linguaggio della creatività e dell’espressione estetica che per definizione è comunicazione e dunque si fa condivisione di emozioni e messaggi.
La sharing economy si traduce nel mondo dell’arte come opportunità di fruizione di opere quali dipinti, fotografie, sculture, installazioni, oggetti di design, ma anche nuove forme espressive -quali le creazioni in realtà aumentata e virtuale- per periodi di tempo limitati ed elastici e per le ragioni più disparate, che vanno, ad esempio, dall’allestimento di eventi o conventions all’arredamento di uno spazio lavorativo o domestico.
L’utilità di chi accede a questa forma di condivisione, che rende l’arte finalmente accessibile a tutti, è quello di valorizzare -o anche solo rinnovare- tanto la propria immagine, personale e/o professionale, quanto quella della propria azienda, permettendo finanche di creare un contesto di marketing esperienziale.
Non va sottovalutato, infatti, che la fruizione dell’arte genera impulsi che, agendo sulla sfera psicologica di ciascun individuo, può essere canalizzato per ridurre ansia e stress, incrementare il grado di soddisfazione e produttività dei dipendenti, aumentare la concentrazione e la creatività, contribuire a favorire condizioni idonee alla conclusione di affari.
L’ambiente lavorativo (o domestico) si fa così esperienza e fattore di ulteriori stimoli che contribuiscono alla realizzazione tanto professionale quanto personale di chi ne beneficia, senza che ciò richieda l’investimento di ingenti capitali- come accade invece nel caso dell’acquisto delle opere d’arte.
Il ricorso ad istituti nuovi, come lo sponsoring, oppure tradizionali, tipici e atipici, quali la locazione o il noleggio delle opere d’arte, permette infatti di poter sfruttare le utilità connesse alla fruizione dei pezzi d’arte a condizioni vantaggiose: i canoni di locazione o di nolo possono partire anche dall’1% del valore dell’opera che ne è oggetto; alla scadenza del contratto è possibile optare per il rinnovo dello stesso o la restituzione dell’opera oppure l’acquisto ad un prezzo che sconti le mensilità già versate; in caso di noleggio, alla disponibilità temporanea del bene artistico afferiscono tutta una serie di servizi, tra cui il trasporto, il montaggio, l’allestimento, il ritiro al termine del periodo concordato.
Guardando il fenomeno da una diversa prospettiva, l’art-sharing è un’occasione di guadagno tanto per il proprietario dell’opera d’arte quanto per l’autore: il primo ha l’opportunità di ammortizzare l’investimento sostenuto con l’acquisto a titolo definitivo dell’opera, che nel tempo può trasformarsi anche in fonte di guadagno; il secondo trova nuovi e più accessibili canali per esporre e dunque diffondere e promuovere il proprio messaggio artistico, oltre che trarne un giusto riscontro economico, esercitando le prerogative che il diritto d’autore gli riconosce.
Stante l’estrema innovatività dell’art sharing, nell’ordinamento italiano non hanno ancora trovato espressa definizione i profili di deducibilità dei relativi canoni sostenuti dai professionisti e dalle imprese.
Ciò che si può ritenere un’evoluzione possibile, prendendo spunto dall’espressa previsione contenuta all’Art. 54, comma 5, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, che ricomprende tra le spese di rappresentanza quelle sostenute per le cessioni e le importazioni di opere d’arte, anche se utilizzate come beni strumentali per l’esercizio della professione.
In definitiva sarebbe auspicabile adottare risoluzioni in tal senso, poiché rappresenterebbero non solo una valvola di respiro per il mercato dell’arte, ma anche un’opportunità di innovazione ed espansione nel mondo degli scambi di beni e servizi.
Dott.ssa Eleonora Rossi