È di questa settimana la notizia che il Garante per la protezione dei dati, in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza, ha avviato un’istruttoria per verificare se le app forniscano effettivamente agli utenti un’informativa chiara e trasparente che preveda la corretta acquisizione del loro consenso.
La decisione è stata presa a seguito di un’inchiesta, condotta da una nota emittente televisiva, in cui diversi utenti hanno lamentato che, nei giorni successivi ad alcune conversazioni private, sono apparsi sui propri device annunci pubblicitari riguardanti argomenti discussi in quelle conversazioni.
Il dibattito si è sviluppato intorno al possibile utilizzo dei microfoni presenti in ciascun smartphone, attraverso i quali sarebbe possibile ascoltare e captare informazioni da utilizzare per proposte commerciali targettizzate.
L‘indagine dell’Autorità molto probabilmente verterà anche sugli assistenti vocali – Siri, Cortana, Ok Google, Alexa – che necessitano che sia sempre attivo il microfono.
Questa nuova istruttoria va ad integrare quella già avviata dallo stesso Garante in materia di semplificazione delle informative attraverso l’utilizzo di simboli ed immagini.
Fatte queste doverose premesse, è d’uopo interrogarsi in merito al fatto se attuare strategie invasive di profilazione, al fine di ottenere determinate informazioni, possa in qualche modo avvantaggiare una società nelle operazioni di marketing quando, in ogni caso, tramite l’utilizzo di algoritmi meno complessi è possibile ottenere le medesime informazioni analizzando le interazioni degli utenti sull’app.
Un’attività di tal natura (onerosa poiché richiede sofisticati algoritmi di IA) potrebbe più facilmente essere realizzata da soggetti intenzionati ad ottenere esclusivamente informazioni specifiche inerenti particolari categorie di persone – politici, imprenditori, manager, vip etc.
In generale, quindi, una società che sviluppa un’app non avrebbe bisogno di adottare condotte così estreme ed in palese violazione delle norme di legge che la esporrebbero a sanzioni di notevole entità.
L’istruttoria, quindi, almeno per il momento, tenuto conto anche del parere di molti esperti del settore, non appare rivoluzionaria ma potrà comunque risultare utile per richiamare all’ordine tutte quelle società che ancora oggi stentano a realizzare gli adempimenti richiesti dal GDPR.
In ogni caso, in attesa delle conclusioni, gli utenti interessati potranno controllare quali app dispongono del permesso per l’uso del microfono – disabilitandolo, aprendo sul proprio smartphone la sezione “Impostazioni – Privacy – Gestione Autorizzazioni – Microfono”.
A cura del Dott. Emiliano Guerreschi