Per fintech si intende la fornitura di prodotti e servizi finanziari mediante approcci data driven basati sulla raccolta e l’elaborazione di grandi quantità di informazioni. In questo periodo storico, tali attività vengono realizzate soprattutto grazie alle piattaforme di lending.
I portali online, di cui all’art. 100-ter del TUF, sono autorizzati a raccogliere capitale mediante un’offerta al pubblico di strumenti finanziari emessi da PMI, ovvero mediante offerta di titoli di debito presso investitori professionali o altre categorie individuate dalla CONSOB. Queste piattaforme non sollevano particolari problemi poiché esiste ormai una specifica disciplina che regola accesso ed esercizio dell’attività.
Sorgono invece dubbi circa le piattaforme di lending estranee all’ambito dell’art. 100-ter, finalizzate all’incontro senza intermediazione di domanda e offerta di credito nelle sue varie forme: peer to peer lending, lending–based crowdfunding, social lending.
In questi casi il gestore del portale mette solo a disposizione uno spazio telematico dove scambiarsi informazioni e condurre le trattative con i potenziali investitori.
Possono però insorgere problematiche derivanti dal fatto che chi vuol investire deve valutare da solo l’affidabilità della controparte in ogni singola operazione di finanziamento.
Per tale ragione varie piattaforme iniziano ad offrire una serie di servizi collaterali, quali la valutazione del merito creditizio (c.d. rating) oppure l’abbinamento di domanda e offerta. Inoltre, tra le varie tipologie di servizi offerti, ai fini di ridurre il rischio per gli investitori, le piattaforme suddividono una richiesta di finanziamento in piccole ed omogenee parti, da collocare presso più soggetti, creando in sostanza titoli assimilabili alle obbligazioni. In questo modo il gestore della piattaforma svolge un’attività di intermediazione finanziaria ponendosi tra il richiedente ed il finanziatore. Tali operazioni sembrano però violare sia l’art. 103-ter del TUF che ammette la raccolta di capitale di credito mediante portali solo presso gli investitori professionali, che l’art. 11 del TUB che vieta la raccolta di risparmio tra il pubblico a soggetti diversi dalle banche.
In questi casi la piattaforma permette agli utenti di svolgere trattative personalizzate, quale la suddivisione dello stesso in più parti omogenee, oppure l’abbinamento automatico fra domanda ed offerta. La violazione del divieto, quindi, va imputata non alla piattaforma ma ai prenditori stessi, in quanto parti del contratto di finanziamento finale.
In conclusione, in attesa di un intervento del legislatore che regolamenti in maniera organica la materia, i soggetti interessati a tali operazioni dovrebbero rivolgersi ad esperti del settore per superare le predette criticità.
A cura dell’Avv. Giovanni Alessi e del Dott. Francesco Starace