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Intelligenza Artificiale e Pubblica Amministrazione (Consiglio di stato, sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270)

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In merito alla possibilità da parte della Pubblica amministrazione di impiegare algoritmi (definiti come una sequenza ordinata di operazione di calcolo) per l’adozione di provvedimenti amministrativi si è recentemente pronunciato il Consiglio di Stato.

Secondo il Supremo Collegio, l’utilizzo di strumenti informatici in presenza di operazioni meccaniche e prive di discrezionalità rappresenta un’attività non solo lecita ma anche desiderabile e incoraggiabile. Infatti, impiegare di tali strumenti garantisce il rispetto dei principi di efficienza e di imparzialità dell’Amministrazione Pubblica garantendo, al contempo, una migliore qualità dei servizi resi ai cittadini e agli utenti.

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La questione trae la propria origine dalla decisione presa dal Ministero dell’Istruzione nel 2015 che decideva di servirsi di un sistema informatico per la riorganizzazione del corpo docente sul territorio nazionale. Infatti, le diverse assegnazioni degli insegnanti erano effettuate mediante un algoritmo.

Da ciò scaturiva il ricorso presentato, prima al Tar Lazio e poi al Consiglio di Stato, da parte dei docenti che lamentavano: i) l’opacità dell’intera procedura dovuta sia all’impossibilità di conoscere il funzionamento dell’algoritmo sia all’adozione di provvedimenti privi di motivazione; ii) la violazione del principio meritocratico nell’assegnazione degli incarichi.

Il Consiglio di Stato ha dichiarato fondato l’appello ritenendo che l’impossibilità di comprendere le modalità concrete di funzionamento dell’algoritmo e, dunque, dei criteri in base a cui i posti sono stati assegnati costituisca un vizio capace di inficiare l’intera procedura.

Nonostante questo, in tale sede il Supremo Collegio Amministrativo ha avuto modo di sottolineare l’importanza della progressiva digitalizzazione della Pubblica amministrazione, così come richiesto anche da parte dell’Unione Europea.

Tale indirizzo non solo garantisce migliori servizi resi ai cittadini e agli utenti, ma consente, altresì, alla Amministrazione Pubblica di rispettare i canoni di efficienza ed economicità che impongono, in accordo al principio di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), di utilizzare i minori mezzi e risorse possibili per il raggiungimento dei fini perseguiti.

In particolare, il Consiglio di Stato ha evidenziato che: “l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata.
In altre parole, l’assenza di intervento umano in un’attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate (che sono, queste sì, elaborate dall’uomo), e l’affidamento di tale attività a un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni 
dell’art. 97 Cost. coerenti con l’attuale evoluzione tecnologica.

È chiaro che l’utilizzo di procedure “robotizzate” non può essere motivo di elusione dei principi che regolano l’attività della Pubblica Amministrazione. Inoltre, occorre rilevare che la regola tecnica che governa ciascun algoritmo – realizzata da parte dell’uomo e applicata dalla macchina – deve essere considerato come “un atto amministrativo informatico” da equipararsi in tutto e per tutto a quello “tradizionale” per quanto concerne la disciplina applicabile.

Ciò posto, la possibilità di utilizzare sistemi informatici all’interno di un procedimento amministrativo è subordinato al rispetto di talune condizioni.

In primo luogo, si richiede che l’algoritmo sia reso conoscibile a chiunque vi abbia interesse. Tale conoscibilità dovrà estendersi a tutte le sue componenti che comprendono, ad esempio: gli autori, il procedimento utilizzato per la sua formazione nonché il meccanismo di decisione. Per tale ragione sarà necessario tradurre in linguaggio giuridico, comprensibile al giudice e al cittadino, ciò che originariamente era espresso nel cosiddetto linguaggio di programmazione.

In secondo luogo, l’algoritmo deve essere sindacabile da parte del giudice amministrativo. Solo in questo modo sarà possibile esprimere, anche in sede giurisdizionale, una valutazione – analoga a quella che il giudice effettua sull’esercizio del potere con modalità tradizionali – circa la legittimità della decisione assunta attraverso una procedura informatica.

In conclusione, con la sentenza numero 2270 del 2019 il Consiglio di Stato ha sancito il principio in base a cui purché vi sia la possibilità di conoscere e di sindacare l’algoritmo utilizzato, il procedimento amministrativo informatico è conforme ai principi di buon andamento ed economicità della Pubblica Amministrazione, con i non trascurabili vantaggi di evitare eventuali errori dovuti alla negligenza e/o al dolo del funzionario e di velocizzare l’attività della PA.


Dott. Simone Brignolo

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