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Il licenziamento disciplinare dopo il Jobs Act e le recenti pronunce di merito e legittimità

La riforma del regime di tutela contro i licenziamenti illegittimi avviata dalla legge Fornero e ora perfezionata dal Jobs Act ha portato all’attenzione il tema della insussistenza del fatto materiale contestato in caso di licenziamento disciplinare. È questo, infatti, l’unico caso in cui un licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo soggettivo è ancora oggi sanzionato dalla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al caso in cui il fatto contestato rientri in una delle condotte punibili con sanzione conservativa sulla base del CCNL applicabile. Nelle altre ipotesi infatti il lavoratore ha diritto solamente a una tutela indennitaria. Appare pertanto di particolare interesse analizzare le recenti pronunce che si sono occupate della materia del fatto insussistente posto alla base del licenziamento.

Innanzitutto l’ordinanza 11340 del 15 aprile 2015 del Tribunale di Milano che interviene sulla tematica attraverso un’interpretazione che nell’ambito dei licenziamenti illegittimi per insussistenza del fatto contestato ricomprende i licenziamenti viziati da genericità della contestazione disciplinare, altrimenti riconducibili alle ipotesi di illegittimità per vizi formali cui a norma del co. 6 art. 18 Stat. (o del conforme art. 4 d. lgs. n. 23/2015) alla quale risulterebbe applicabile la sola tutela indennitaria. La lettura offerta, seppur riferita al sistema stabilito dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori post riforma Fornero, pare suscettibile di essere riproposta anche relativamente alla nuova disciplina delle “tutele crescenti”. Si applica dunque la tutela reintegratoria di cui al co. 4 dell’art. 18, nei casi di contestazione generica che impedisca l’identificazione del fatto addebitato, in luogo di quella obbligatoria debole ex co. 6, anche in virtù del principio di immodificabilità dei motivi del licenziamento. È questa un’interpretazione volta ad evitare il diffondersi di prassi opportunistiche nell’ambito dei licenziamenti disciplinari, tali da depauperare le possibilità di difesa dei lavoratori contro questi licenziamenti.

In tal senso si sono uniformate due sentenze della Corte di Cassazione del 13 ottobre 2015, n. 20540 e 20545, che hanno offerto rilevanti indicazioni interpretative in ordine alla “insussistenza del fatto contestato”, che l’articolo 18, comma 4, della 20 maggio 1970, n. 300 (“Statuto dei Lavoratori”), come novellato dall’articolo 1 della Legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. “Legge Fornero”), richiede come presupposto per l’applicazione, in caso di licenziamento illegittimo, della sanzione reintegratoria c.d. attenuata (cioè con riconoscimento, oltre alla reintegra, di una tutela risarcitoria nel limite massimo delle 12 mensilità) e non della tutela solo risarcitoria.

La prima delle due sentenze (n.20540) ha chiarito che “quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione”, precisando che“la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, quarto comma, cit.”.

In tal modo, con questa pronuncia, la Corte di Cassazione ha asserito un principio “minimale”, scansando l’ipotesi per cui un licenziamento disciplinare, intimato per un comportamento lecito del dipendente (effettivo), possa essere giudizialmente dichiarato illegittimo, per difetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ma sia comunque ritenuto produttivo di effetti.

La Corte di Cassazione chiarisce dunque che la tutela reintegratoria di cui all’articolo 18, comma 4, debba trovare applicazione nelle ipotesi in cui il fatto materiale contestato, seppur sussistente, si sia rivelato privo del carattere della illiceità, ovvero non suscettibile di alcuna sanzione, e, quindi, sia irrilevante dal punto di vista giuridico. In altri termini, l’irrilevanza giuridica del fatto contestato, la sua inidoneità ad essere qualificato come inadempimento o condotta illecita, impedisce che possa configurarsi come “fatto materiale sussistente” ai sensi dell’articolo 18, comma 4.

La seconda sentenza (n. 20545) ha statuito che si configura l’applicazione della tutela reintegratoria dell’articolo 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori, anche qualora la fattispecie di illecito configurata dalla legge o dal contratto, cui abbia fatto riferimento il datore di lavoro nella contestazione di addebiti posta a base del licenziamento, si sia realizzata soltanto in parte e, quindi, nel caso in cui solo alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie di illecito disciplinare richiamata abbiano trovato dimostrazione in giudizio da parte del datore di lavoro.

La Corte, in tale seconda pronuncia, nel rilevare che la Corte di appello di Roma non aveva proceduto ad un accertamento dei fatti costituenti il grave danno morale o materiale e ciò nonostante avesse ritenuto questi “provati a sufficienza” e “sussumibili nella fattispecie dell’articolo 48, lettera B” del “CCNL”, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata ed ha precisato che “tale nocumento grave è parte integrante della fattispecie di illecito disciplinare in questione onde l’accertamento della sua mancanza determina quella insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, prevista dall’articolo 18, legge 300 del 1970, mod. dall’articolo 1, comma 42, legge 28 giugno 2012, n. 92, quale elemento costitutivo del diritto al ripristino del rapporto di lavoro. Questo elemento deve infatti considerarsi esistente qualora la fattispecie di illecito configurata dalla legge o dal contratto sia realizzata soltanto in parte”.

La Corte di Cassazione, rilevato che la fattispecie di illecito disciplinare in questione imponeva, tra i suoi elementi costitutivi, “il grave nocumento morale o materiale” oltre alla condotta inadempiente o negligente, ha ravvisato l’erroneità della pronuncia della Corte d’appello che tale danno aveva ritenuto provato, a dispetto di un adeguato accertamento sul punto.

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